Whitney Johnson: “Disrupt Yourself”!

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Courtesy of WOBI

Whitney Johnson è una ricercatrice e consulente in tema di Business e collabora anche con Clay M. Christensen, professore ad Harvard e consigliere nei Board delle più importanti aziende in tutto il mondo.

La Johnson guida i presenti al WOBI 2019 in un viaggio dentro sé stessi e dentro alla propria attitudine a salire e a crescere, ricordando che essa ha radici nel proprio passato e presente.

La curva di apprendimento

In qualsiasi ambito della vita personale o lavorativa, per ogni attività che si compie o argomento che si studia, ognuno di noi segue un percorso in salita, una curva di apprendimento.

C’è una curva per il lavoro, anzi, una per ogni lavoro/funzione che ricopriamo, per il rapporto con i figli, per lo sport, per le attività e le relazioni personali.

La curva si muove in uno spazio fatto di tempo, ma anche di sforzo, di impegno, di competenza e di risultati. Inizia dallo zero e cresce pian piano verso un punto più alto che è abbastanza indefinito (e asintotico se vogliamo).

Quello della curva è un percorso che prevede momenti di maggiore crescita e momenti di rallentamento, punti di sforzo più intenso e punti di maggiore calma. 

Il segmento più alto è la competenza completa, il livello di maestria nell’argomento. Il più basso è la totale impreparazione. Lungo il percorso c’è una fase speciale, detta di ipercrescita, la più ripida, quella che con minore sforzo porta a maggiore comprensione e consapevolezza.

Sulla stessa curva si muovono anche le aziende, le idee di business, le organizzazioni e i progetti, ma anche i team, i gruppi di lavoro. La learning curve è una linea su cui qualsiasi entità può trasformarsi, può passare dall’essere un piccolissimo puntino insignificante fino a diventare “great” e significativo.

Come si sale sulla curva

Di fronte ad un obiettivo o ad un compito per cui esista un vantaggio, un risultato o un’opportunità, l’iniziale forza propulsiva della propria volontà e della ricerca fa spingere verso un punto superiore della curva, ma quando questa si esaurisce, ci si ferma inevitabilmente.

Anche dal punto di vista chimico la sensazione è la stessa: i primi step di un nuovo processo sono sempre interessanti, la sfida, la risposta e il successo immediato producono un interessante rilascio di dopamina e di sostanze positive per l’umore. Quando, però, si sono acquisite velocemente le primissime abilità, ecco che l’entusiasmo scende un po’ e tutti si fa più noioso. Il rischio è, evidentemente, quello che si interrompa la crescita.

C’è un ingrediente, però, che mantiene attivo il processo di salita: la disruption, ovvero ciò che potremmo tradurre con discontinuità, con continua tensione a rompere, a superarsi, a cambiare e ad andare oltre.

È un’energia che va creata, il motto della Johnson è “Disrupt yourself” con l’intelligenza di non fermarsi, di darsi nuove difficoltà, di mettersi alla prova cercando una nuova onda.

E proprio a proposito di onda, la Johnson fa fare una “ola” al pubblico in sala di questa prima giornata di Superminds: da destra a sinistra, ognuno al momento giusto, tutti si alzano in piedi, sollevano le braccia e si risiedono, come allo stadio. Quest’onda simboleggia un vero e proprio flusso di energia che non ha cambiato nessuna posizione, ognuno si è alzato ed è tornato a sedersi allo stesso posto, ma con un livello di energia diverso.

È questa energia quella che va cercata in un momento di stallo, l’energia disruptive di un’onda che risollevi il desiderio di crescere.

Come applicare questo concetto in azienda

Facile: disruption in azienda significa assegnare compiti complessi, sfide, limitazioni e obiettivi serrati che generino quella personale energia/desiderio di salita nelle persone.

Persone che, attenzione!, non andrebbero scelte in base al loro livello di competenza (che comunque raggiungerà un massimo nel medio periodo) ma in base al loro potenziale di crescita e che andrebbero supportate oltre che spronate, e anche ringraziate per lo sforzo che dedicheranno all’obiettivo.

Questo punto di vista, che in qualche modo qualifica la loro inesperienza, è un elemento che favorisce un corretto equilibrio delle competenze in azienda. 

L’ideale secondo la Johnson, è che solo il 15% del personale su trovi nella fascia alta della curva e un identico 15% sia all’inizio della salita perché un’azienda con il 70% delle persone in piena fase di engagement è, davvero, il massimo che si possa creare per ottenere obiettivi a lungo termine!


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