Investire sui mercati emergenti? Assolutamente sì, ma quanto?
Di AnnamariaMentre l’economia americana si trova a dover fronteggiare le conseguenze di un debito eccessivo e l’Europa paga lo scotto della mancanza di politiche di armonizzazione, i mercati emergenti attraggono l’attenzione degli investitori: Brasile Russia India e Cina (BRIC) sono i paesi che offrono le maggiori opportunità.
Le ragioni che gli investitori adducono in favore dei titoli BRIC sono:
* una regolare crescita del PIL in assenza di effettivi squilibri nei conti pubblici e in quelli con l’estero,
* rendimenti attraenti,
* una prospettiva di crescita e sostenibilità che non fa prospettare scenari da “bolla finanziaria”,
* la popolazione di queste quattro nazioni che rappresenta il 42% di quella mondiale e le rende estremamente promettenti in termini di crescita della domanda.
Resta da stabilire entro quali limiti debba essere contenuta la quota di tale tipologia di titoli in un portafoglio equilibrato. In considerazione del fatto che l’investimento in titoli provenienti da paesi emergenti rappresenta un’ottima opportunità di differenziazione degli investimenti e sposando un’ottica di bassa propensione al rischio, la percentuale minima di capitale che gli esperti suggeriscono di destinarvi è pari al 13%. Per chi ha invece propensione media al rischio, tale percentuale può aumentare fino a un 30%, giustificato dalle previsioni di forti aumenti di consumi interni nei paesi interessati.
Impegnare maggiori capitali non è consigliabile perché, non va dimenticato, a livello di mercati azionari i paesi emergenti non assicurano ancora le caratteristiche di investibilità, efficienza e trasparenza proprie dei mercati maturi.
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