Il debutto della class action in Italia: qualche chiarimento

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Da ieri, 1 gennaio 2010, è in vigore la legge che permette nel nostro paese di intentare una class action, ossia un’azione legale collettiva nella quale si intendono tutelare gli interessi di tutta una categoria di persone. In pratica, uno o più consumatori agiscono legalmente oppure danno mandato a un’associazione dei consumatori di farlo. Se la causa viene vinta, il risultato sarà valido anche per tutti gli appartenenti a quella ‘classe’ di persone i cui diritti sono stati lesi e che nel frattempo si sono fatti avanti con identiche pretese, aderendo all’azione collettiva già promossa, senza ricorrere a un avvocato.

I consumatori che possono intentare un’azione di classe sono coloro che:
* hanno subito le conseguenze di comportamenti o pratiche commerciali scorrette
* hanno acquistato prodotti difettosi o pericolosi
* si trovano in una situazione di pregiudizio nei confronti di un’impresa, in conseguenza di un inadempimento contrattuale.

La primissima class action italiana è stata intentata proprio ieri dal Codacons contro due importanti istituti di credito (Intesa Sanpaolo e Unicredit) per le nuove commissioni di massimo scoperto recentemente introdotte, fino a 15 volte più care delle precedenti. Se le istanze degli utenti saranno accolte, sono i migliaia i correntisti che potranno chiedere di essere risarciti. Se tutti lo facessero, la cifra totale del risarcimento si aggirerebbe sui 2 miliardi di euro.

Tra i vantaggi della class action c’è sicuramente la potenziale disincentivazione di gravi scorrettezze dei colossi dell’economia ai danni dei consumatori, che per cifre esigue non oserebbero mai adire le vie legali da soli contro grandi aziende. Una buona tutela dei più deboli, insomma.

I detrattori o gli insoddisfatti della class action così come è concepita in Italia deplorano invece il fatto che la norma è in vigore solo per illeciti commessi a partire dal 16 agosto 2009, perciò non vale per i fallimenti di aziende come Cirio e Parmalat. Inoltre, secondo molti, rispetto alla forza che ha l’azione collettiva in paesi come gli Stati Uniti, il Canada o il Brasile, nel nostro paese la legge è molto debole: chi è condannato restituisce il denaro, ma non deve pagare i danni a ognuno dei ricorrenti. Infine, in Italia la causa deve essere pubblicizzata (in modo che ne venga a conoscenza il maggior numero possibile di persone) a spese del ricorrente, mentre in America la pubblicità può essere fatta anche dopo la vittoria in tribunale, quando i soldi sono già stati intascati.


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