Gli italiani conoscono davvero la loro banca?

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Qualche settimana fa l’agenzia Moody’s ha pubblicato un resoconto sullo stato di salute delle prime 20 banche italiane, indicato dal rating sulla solidità finanziaria. Il risultato è impietoso. La graduatoria oscilla tra la categoria C e la D. L’unica eccezione è costituita da Banca Intesa che arriva a un patetico B-. Per meglio capirne il significato di questi dati, ricordiamo che essere qualificati C e D significa avere una situazione di forte rischio nella capacità di far fronte ai propri debiti: in gergo si parla di titoli spazzatura. La categoria B- indica una situazione di debolezza nel far fronte ai debiti.

L’analisi è stata pubblicata da Il Sole 24 Ore in data 28 ottobre e ha provocato la reazione dei banchieri che si sono immediatamente dissociati, sostenendo che le banche italiane sono le migliori d’Europa. Ma al di là delle parole, sono i numeri che contano.

I fatti ci dicono che la quantità di obbligazioni delle nostre banche nei portafogli degli italiani (dati CONSOB) è quintuplicata nel periodo 1995-2009, passando dal 2,1% al 10,8%. Nel resto d’Europa siamo fermi all’1%. Il numero di bond propri “rifilati” ai risparmiatori è 20 volte superiore al numero di bond riservato agli istituzionali. Questo dato è fondamentale in quanto l’obbligazione è un prestito, una necessità di denaro fresco richiesto al mercato. Come per il privato, per un’azienda o pensiamo allo Stato e al nostro debito pubblico che tanti problemi ci sta creando, più prestiti chiedo più bisogno di liquidità ho, più aumentano i miei debiti più difficoltà avrò nel mio (dis)equilibrio finanziario. Portiamo il concetto di rischio e di difficoltà nella pratica quotidiana. Cosa accade in Italia ? Lunedì 6 dicembre in tarda serata è arrivata questa comunicazione:

Commissari straordinari del Banco Emiliano Romagnolo (Ber), in amministrazione straordinaria, con il parere favorevole del Comitato di Sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, hanno deliberato la sospensione del pagamento delle passività di qualsiasi genere e della restituzione degli strumenti finanziari alla clientela, ai sensi dell’art. 74 del d.lgs. 1* settembre 1993, n. 385 (TUB), per il periodo massimo di un mese, fatte salve eventuali proroghe. La misura si è resa necessaria stante il ricorso di circostanze eccezionali, che si sostanziano nell’insufficienza delle disponibilità liquide a far fronte alle passività in scadenza e nell’impossibilità di attivare canali alternativi di sostegno finanziario.

Tradotto in breve, significa che i correntisti si ritrovano con i conti bloccati per un mese e con la possibilità che tale sospensione venga prorogata. Nel frattempo si vedrà, dichiarazione della Banca d’Italia, se si riuscirà ad accedere al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. La dicitura sospensione della restituzione degli strumenti finanziari significa che le obbligazioni della banca sono scadute, ma il capitale con interessi non viene restituito ai clienti. Resta sospeso e non è disponibile per mancanza di fondi. Siamo in Italia, dove ci sono – a detta dell’ABI – le migliori banche, non in Argentina.

Vi sono altri comportamenti che negli ultimi mesi sono diventati norma e che prima non accadevano. Infatti, in molte banche, capita che venga rifiutata la richiesta di acquisire obbligazioni presenti sul mercato con rating primario. E’ successo, nel corso di questi 4-5 mesi, con obbligazioni Goldman Sachs, Merril Lynch, Edf, titoli primari e con rendimenti nettamente superiori alle obbligazione delle banche e decisamente più liquidi. Qualsiasi scusa addotta per giustificare tale comportamento è falsa: tali titoli sono liberamente acquistabili  sul mercato da chiunque. La verità è che le banche vogliono e devono vendere le proprie obbligazioni indipendente dall’interesse del cliente e troppo spesso, per tale fine, spacciano per spazzatura rischiosissima tutto ciò che non è di loro proprietà; il conflitto di interessi è lapalissiano. Un dipendente allo sportello consulenza di una filiale, messo alle strette, mi ha dovuto dire: sì, è vero, è una scelta della direzione di non consentire la negoziazione su alcuni prodotti. Stranamente tale limite viene posto sui titoli più convenienti per i clienti, con il rapporto rischio/rendimento migliore e, sempre stranamente, che penalizzano fortemente nel confronto diretto le obbligazioni del proprio istituto.

In altri casi, succede che presentando in banca una serie di titoli da acquistare si assiste alla manfrina, sotto forma di preghiera, che si riservi una quota del portafoglio ai loro titoli. Hanno il budget da raggiungere, sono costretti.

Potremmo dilungarci oltre, ma spero che il concetto sia abbastanza chiaro: non ci si deve sbilanciare con una percentuale eccessiva nei confronti di un solo emittente. Non ci si deve far influenzare dal fatto che conosciamo e vediamo tutti i giorni la nostra banca e le persone sono simpatiche. La facciata non corrisponde sempre al contenuto e, oggi, niente e nessuno è esente da rischi. Anzi.

In un prossimo articolo potremo discettare sul perché molte banche sono state considerate ottime dagli stress test (vedi le banche irlandesi, per le quali gli stress test di quattro mesi fa avevano fornito l’ottimo punteggio di 7,1%) con rating doppia A, quindi massima solvibilità e, improvvisamente, da un giorno all’altro abbiamo scoperto che quelle stesse banche stavano fallendo.

In un altro articolo potremo magari entrare nel merito di come sono costruite molte obbligazioni delle nostre banche, cosa dovremmo chiedere e cosa dovremmo controllare. Perciò continuate a seguirci.

Nicola Mastropietro


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