Fluttuazioni valutarie e rischi per gli investimenti
Di Daniele GrattieriAssuefatti ormai a venti anni di euro, preceduti, se si eccettua la parentesi che va dalla fine dello Sme al riallineamento dei cambi, da un altro ventennio di cambi controllati (dal serpentone dello Sme, giustappunto), spesso, approcciando al mondo degli investimenti, si tende a sottovalutare il pericolo connesso alla fluttuazione valutaria.
Acquistare pacchetti azionari collocati fuori dall’Eurozona, così come optare per investimento in materie prime valutate in dollari, significa entrare in contatto con la volatilità del cambio; un elemento, quest’ultimo, che va a rendere problematico anche uno degli strumenti più amati di quest’ultimo periodo, ossia gli ETF. Un destino ineluttabile di fronte al quale piegare il capo? Non per forza.
Che cosa accade quando si investe, ad esempio, in un ETF (una variante del fondo comune di investimento, a gestione passiva e quindi tendenzialmente meno rischioso rispetto al fondo classico)? Innanzitutto, le attività sono gestite con la valuta del fondo, ma gli scambi avvengono con la valuta della nazione in cui ha sede l’azienda emettitrice dell’azione.Una discrepanza a cui prestare attenzione, considerando che solo poco più del 10% delle attività degli ETF globali avvengono all’interno dell’Eurozona (e quindi fuori dal rischio di fluttuazioni). Se ad esempio il dollaro (oltre il 60% delle attività avvengono con questa valuta) perde potere rispetto all’Euro, le azioni quotate negli USA vedono ridotto il loro valore, a tutto detrimento dell’investitore europeo. Un caso tutt’altro che fantasioso, essendo un costante di questi anni. Una soluzione a questo pericolo reale è rappresentata dalla diversificazione. Aumentare le quote del paniere valutate in Euro è una buona idea, così come guardare anche ad altre valute oltre il dollaro (Yen e Sterlina su tutte). In tal modo, su un orizzonte di lungo periodo, le fluttuazioni tenderanno a bilanciarsi. Certamente il problema si ripropone, in tutta la sua drammaticità, nel caso di investimenti a breve termine.
Le fluttuazioni avvengono per svariati motivi. Politiche monetarie più o meno espansive da parte delle banche centrali, sbilanciamento tra import ed export, aumento o diminuzione dei tassi di interesse, molti fattori concorrono a determinare il valore di una moneta rispetto ad un’altra (si tenga in considerazione, banalmente, che la moneta è una merce, e come tale è sottoposta alla legge basilare della domanda e dell’offerta). Per affrontare questa minaccia, esistono degli ETF particolari, detti a copertura valutaria, in genere indicati con il termine “Hedge”. Il meccanismo è tecnicamente complesso, ma il principio ricorda quanto avviene, ad esempio, con le scommesse calcistiche. Dopo una puntata, si copre l’eventuale perdita scommettendo sull’esito di una delle partite più facilmente pronosticabili. Ecco, con i fondi Hedge, in sostanza, i rischi vengono compensati dall’inserimento nel portafoglio della moneta coperta; in tal modo, almeno sulla carta, le fluttuazioni di una valuta rispetto all’altra verrebbero assorbite. Questo tipo di ETF esiste da poco meno di un decennio, i risultati sono stati, fin qui, apprezzabili. Attenzione, però. Se parliamo di investimenti, la sicurezza al 100% non esiste praticamente mai.
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