Consulenza previdenziale: perché è importante?
Di Daniele GrattieriLa consulenza previdenziale svolge nell’attuale contesto macroeconomico una funzione di primaria importanza. Se uno volta la testa dall’altra parte, le legittime preoccupazioni (“Non andrò mai in pensione!”, “Come farò a godermi la vecchiaia con una pensione da fame?”) probabilmente diventeranno realtà.
In realtà, chiunque potrà godersi la pensione, se inizia a pensarci adesso.
La consulenza previdenziale: che cos’è e come può essere utile?
La consulenza previdenziale consiste nell’analisi della situazione professionale e contributiva.
Lo scopo è quello di predisporre un piano che consenta di mantenere o migliorare il proprio tenore di vita anche in una fase delicata come quella della vecchiaia.
Durante il pensionamento, non si percepiscono più redditi da lavoro, bisognerebbe poter godere dei redditi precedentemente prodotti. Le risorse pensionistiche a tua disposizione dovrebbero consentire la realizzazione di qualche sogno nel cassetto e di fare fronte alle spese (non di rado anche ingenti) per la salute.
Una cosa è certa: non si può fare affidamento solo sulla pensione pubblica. E a questo punto entra in campo la consulenza previdenziale, che può aiutare a superare i problemi insiti nell’attuale sistema pensionistico italiano combinando in maniera efficiente una serie di alternative per ottimizzare la pensione.
L’attuale sistema pensionistico pubblico
Il nostro sistema previdenziale attuale poggia su 3 pilastri.
Il primo pilastro è la previdenza di base, che ha natura obbligatoria. La tutela previdenziale essenziale per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti è gestita dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS). Oltre all’INPS, forniscono tutela previdenziale obbligatoria anche le Casse professionali per alcune categorie di liberi professionisti (ad esempio avvocati, commercialisti, notai, medici, geometri e così via). Ciascuna di queste ha uno specifico sistema organizzativo, ha cioè ampia autonomia nello stabilire ad esempio le aliquote contributive, i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia, di anzianità, di inabilità, invalidità e reversibilità.
Il secondo pilastro fa riferimento, invece, alla previdenza complementare collettiva. Rientrano in questa categoria i fondi pensione negoziali, istituiti nell’ambito della contrattazione collettiva, nazionale o aziendale, e i fondi pensione aperti cui è possibile aderire collettivamente.
Infine, il terzo pilastro coincide con la previdenza integrativa individuale. Questo pilastro racchiude i fondi aperti ad adesione individuale e i Piani Individuali Pensionistici (PIP).
La previdenza complementare, a differenza di quella di base che è obbligatoria, si fonda sulla volontarietà dell’adesione. Essa persegue lo scopo di fornire una copertura integrativa rispetto alla tutela previdenziale offerta dall’INPS.
Il finanziamento della pensione: ripartizione e capitalizzazione
La differenza tra la previdenza obbligatoria e le forme pensionistiche complementari sta in particolare nel diverso metodo di finanziamento.
La previdenza obbligatoria si basa sul sistema a ripartizione, ossia sul sistema di mutualità: i contributi versati dai lavoratori attualmente in attività vengono utilizzati per pagare le pensioni di tutti coloro che invece non sono più in attività. Per dirla in altri termini: sulla generazione dei lavoratori grava l’onere previdenziale dei pensionati.
La previdenza complementare, al contrario, si basa sul meccanismo finanziario della capitalizzazione. Questo significa che i contributi che il lavoratore versa nel fondo pensione non finiscono per essere immediatamente utilizzati per pagare le pensioni, ma vengono investiti. La posizione previdenziale, quindi, è composta non solo dai contributi versati dal lavoratore (con l’aggiunta eventualmente del contributo del datore di lavoro e del Trattamento di Fine Rapporto), ma anche dai rendimenti ottenuti grazie al loro investimento sui mercati finanziari. Una volta raggiunti i requisiti per accedere al pensionamento, il lavoratore avrà maturato un montante individuale che verrà convertito nella sua rendita pensionistica. Non avviene quindi alcuna redistribuzione di risorse tra generazioni diverse. A pagarsi la pensione è il lavoratore stesso.
Qual è il rischio del sistema a ripartizione?
Il sistema a ripartizione, su cui si fonda la previdenza pubblica, non di rado è etichettato come “schema Ponzi regolamentato”.
Per chi non lo conoscesse, lo schema Ponzi funziona nel seguente modo: agli investitori vengono promessi elevati rendimenti i quali vengono effettivamente corrisposti rimborsando parte dell’investimento iniziale. Poiché il sistema in apparenza consente di guadagnare, presto giungono nuovi investitori. Con il denaro apportato da questi ultimi vengono remunerati gli investitori precedenti.
Il sistema pensionistico a ripartizione funziona proprio nel modo descritto: i contributi che i lavoratori versano oggi alle casse dell’INPS servono per pagare la pensione a chi non lavora più. Coloro che sono in attività, nel frattempo, non possono che nutrire la speranza che, quando andranno in pensione, ci sarà qualcuno che verserà i contributi per finanziare il loro assegno pensionistico.
Finché nuovi soggetti decidono di investire, il sistema resiste. A dire, finché ci sono lavoratori a sufficienza, tutto continua a funzionare, ma nel momento in cui i nuovi versamenti si riducono o si interrompono sono dolori!
I problemi strutturali che hanno favorito la nascita della consulenza previdenziale
Il processo collettivo di redistribuzione del reddito tra generazioni diverse si inceppa quando l’andamento demografico ed economico inizia a remare nella direzione opposta. La vita media si allunga, mentre le nascite diminuiscono. La speranza di vita alla nascita nel 2019 era pari a 83,2 anni. In conseguenza degli effetti della pandemia da Covid-19 è scesa a 82 anni. Ma un trend è in atto fino a un segnale incontestabile di inversione e questo segnale non c’è ancora stato. L’abbassamento di 1,2 anni è stato causato da una situazione emergenziale e straordinaria. Dai fatto, dal 1955 ad oggi, l’aspettativa di vita degli italiani è progressivamente aumentata. Siamo d’accordo, è una buonissima notizia. Se non fosse che tale crescita non sempre è accompagnata anche da un innalzamento della qualità della vita stessa. Ma questo è un altro discorso. Correlativamente è diminuita la natalità. E questa invece non è, nella maniera più assoluta, una buona notizia. Non è facile per un Paese sopravvivere senza bambini. Tanto più se si stima che nel 2050 ci saranno più pensionati che lavoratori.
Se non ci sono sufficienti persone in attività che pagano regolarmente i contributi previdenziali per sfamare la popolazione in pensione, chi lo farà al posto loro?
Lo Stato, certo.
C’è però un ostacolo. Il costo per le pensioni rappresenta già il 17% del nostro Prodotto Interno Lordo. E la spesa pubblica per le pensioni non dovrebbe assumere un peso eccessivo in relazione al PIL, il cui andamento peraltro punta stabilmente al ribasso. Quello che non accenna a scendere invece è il debito pubblico, che si attesta nel 2021 sui 2.734,4 miliardi. Oggettivamente non è con maggiori spese che si risana il debito pubblico.
Perché una consulenza previdenziale è necessaria?
Le possibili soluzioni al problema sono due: aumentare le entrate oppure ridurre le uscite. Insomma, banalmente, si tratta delle solite e uniche due alternative ai problemi di ordine economico: o si cerca di guadagnare di più oppure bisogna spendere di meno. Semplice. Per ottenere un maggior flusso di entrate servono più lavoratori che paghino i contributi, ma tra denatalità e disoccupazione è difficile credere nei miracoli. In altre parole, non è il caso di riporre tutta questa fiducia sulle generazioni future.
Oppure è necessario innalzare l’aliquota contributiva, che attualmente è la più alta d’Europa. Poiché però la capacità di spesa è dominata dalla generazione in attività, un aumento dei contributi, e quindi una implicita riduzione del salario, sarebbe il colpo di grazia per il PIL e per la salute mentale dei lavoratori.
Per la verità, la strada più facilmente percorribile è la riduzione delle uscite, con un contestuale e progressivo aumento dell’età pensionabile. L’antidoto contro tutti i mali. Ed è proprio questa la via che è stata seguita dai vari interventi riformatori, primo fra tutti l’introduzione del regime contributivo per coloro che sono stati assunti successivamente al 31 dicembre 1995. Con il metodo di calcolo contributivo, l’importo della pensione erogata è legato non alle ultime retribuzioni percepite dal lavoratore, bensì all’ammontare dei contributi previdenziali versati nel corso dell’attività lavorativa.
Tradotto: i contributivi sono i futuri pensionati poveri. I misti, cioè coloro che hanno avuto la fortuna di aver maturato alcuni anni di contribuzione prima del 31 dicembre 1995, saranno un po’ meno poveri, ma non tanto. Peraltro, grazie ad una consulenza previdenziale, potrebbero anche riuscire a ricadere tra i retributivi. In ogni caso, sono una specie in via di estinzione. I retributivi, a dire i pensionati ricchi, invece, si sono già estinti.
La consulenza previdenziale è nata proprio da questo scenario, per dare una pronta risposta a tutte le necessità da esso alimentate. In fin dei conti, i problemi vanno affrontati ed analizzati, per essere superati. Non ci sono tante alternative.
E per chi sta facendo una carriera brillante?
Esiste dunque un grosso problema strutturale e, in questa situazione, fare esclusivo affidamento sulla pensione pubblica non è affatto saggio. Che sta facendo una carriera sfavillante può rimboccarsi le maniche e fare di tutto per lavorare di più e versare maggiori contributi.
Per la verità c’è un altro guaio. Il sistema pensionistico è contro-intuitivo. Se uno ha una carriera dinamica, e quindi il suo stipendio aumenta progressivamente, questo non significa automaticamente che avrà una pensione alta. Per due ordini di ragioni: innanzitutto, con il metodo contributivo vengono considerati tutti i contributi versati, quindi anche quelli più scarsi sborsati a inizio carriera. In secondo luogo, all’aumentare dello stipendio, diminuisce il tasso di sostituzione.
Il tasso di sostituzione e il gap: i dati da cui prende le mosse una consulenza previdenziale
Il tasso di sostituzione è il rapporto, espresso in percentuale, tra la prima rata pensionistica e l’ultimo reddito percepito prima del pensionamento. Per i retributivi, a una carriera brillante corrispondeva una pensione brillante: l’assegno pensionistico erogato si aggirava intorno all’80% dell’ultimo stipendio, sfiorando in taluni casi anche il 100%. Questo è esattamente il modo per mantenere inalterato il proprio tenore di vita.
Attualmente il tasso di sostituzione oscilla tra il 50% ed il 60% per i lavoratori autonomi e tra il 65% ed il 75% per i lavoratori dipendenti. In futuro, per alcuni soggetti, non sarà difficile scendere al di sotto del 50%. I più sfortunati sono proprio coloro che guadagnano molto in prossimità del pensionamento: in questi casi, il tasso di sostituzione sarà basso, insufficiente per godersi il pensionamento.
Tra gli infelici rientrano a maggior ragione alcuni liberi professionisti per i quali la relativa Cassa professionale prevede massimali e/o aliquote contributive infime. Si tratta, tra gli altri, di avvocati, veterinari, medici, commercialisti, biologi, periti e psicologi. Ad esempio, per questi ultimi è prevista un’aliquota contributiva di base tra le più basse, pari solo al 10% della retribuzione. Il tasso di sostituzione per gli psicologi si aggira intorno al 20%.
Quello che manca, in tal caso l’80%, è il gap previdenziale. Supponendo una retribuzione pari a 3000 euro al mese, il lavoratore percepirebbe un assegno pensionistico di 600 euro. E i restanti 2400 euro? Scomparsi.
Forse allora, più ragionevole, sarebbe agire per assicurarsi una pensione decorosa.
L’analisi previdenziale personalizzata
Il tasso di sostituzione e, di riflesso, il gap previdenziale sono strettamente legati alla posizione individuale di ciascun lavoratore, cioè alla sua personale situazione professionale e contributiva.
Conoscere questi due dati consente da un lato, di sapere quale sarà la tua rendita pensionistica; di fatto, “da fame” vuol dire poco o nulla. È necessario quantificare. Dall’altro, è fondamentale per valutare lo scarto tra l’ultima retribuzione percepita in attività e la prima rata della pensione. Maggiore è questo divario e più velocemente è il caso di intervenire.
Una consulenza previdenziale personalizzata ha l’obiettivo di valutare la situazione di ogni individuo e predisporre un piano per consentirgli di vivere una vecchiaia serena. Perché, come abbiamo capito, l’assegno sociale non basta.
10 motivi per richiedere una consulenza previdenziale
1. Attenzione al gap
Un’analisi personalizzata della tua situazione previdenziale ti permette di quantificare la tua pensione futura e di acquisire consapevolezza sul gap previdenziale. Quest’ultimo non è un dato finale né immodificabile, bensì un punto di partenza.
2. Integri il gap previdenziale
Il divario tra l’ultimo reddito percepito e la prima pensione incassata è colmabile. Serve versare il giusto: né troppo né troppo poco. Prima pensi alla tua pensione e più facile sarà. Per la verità, più tempo ti manca al pensionamento e maggiori sono i vantaggi.
3. Sfrutti il tempo a tuo favore
Il tempo è un buon alleato. Dopo aver quantificato il tuo gap previdenziale, una consulenza previdenziale ti consente di programmare l’ammontare del versamento integrativo. Questo dev’essere idoneo a raggiungere il tuo obiettivo. Potrai conquistare una pensione appropriata senza tuttavia privarti oggi di eccessive risorse.
4. Porti a casa numerose agevolazioni fiscali
Se versi i contributi in un fondo pensione ed eventualmente il TFR, nonché i contributi del datore di lavoro (alle condizioni previste dalla contrattazione collettiva), oltre ad accumulare nel tempo una tua posizione previdenziale senza quasi accorgertene, puoi beneficiare di innumerevoli vantaggi fiscali. Innanzitutto, puoi dedurre dal tuo reddito imponibile 5.164,57 euro annui che hai versato nel fondo pensione.
Inoltre, rendimenti del fondo sono tassati con aliquota agevolata al 20% e non al 26%.
La prestazione pensionistica che ti verrà erogata non subirà la tassazione ordinaria, ma un massimo del 15% fino ad un minimo del 9% in base agli anni in cui hai aderito al fondo. Anche in questo caso, allora, il tempo è tuo alleato.
5. Approfitti dell’interesse composto
In alcuni casi, in base a una serie di variabili, quali la tua età, il lavoro che svolgi, la tua capacità di risparmio, una soluzione potrebbe essere anche quella di investire direttamente sui mercati finanziari, tramite un Piano di Accumulo Capitale. Il PAC consiste nell’investimento in strumenti finanziari efficienti tramite versamenti periodici. L’efficienza è anche fiscale: scegliendo lo strumento più adeguato, è possibile posticipare la tassazione e quindi beneficiare dell’interesse composto.
6. Risparmi sui costi
Una consulenza previdenziale ti supporta e ti aiuta a orientarti nel mucchio dei prodotti offerti dall’industria bancaria e finanziaria, perché bisogna ricordarlo: non ogni prodotto pensionistico né ogni strumenti finanziario ti consente di raggiungere una pensione serena. Per guadagnare bisogna risparmia sui costi. Perché se è vero che il tempo è il tuo primo sostenitore, aderire una vita lavorativa a un fondo costoso, ti può costare una fetta della tua pensione. Se hai già sottoscritto alcuni prodotti previdenziali, sarebbe il caso di far analizzare la loro bontà.
7. Scegli il comparto più adatto
Hai trent’anni di lavoro davanti a te e versi nel comparto garantito? Hai ragione, in pensione non ci andrai mai. Sei quasi pensionato e versi nel comparto aggressivo? Qualcosa nella progettazione dev’essere andato storto e rischi di non avere una pensione. La scelta del comparto va fatta con ponderazione. Al buon senso va aggiunta una dettagliata analisi delle tue personali caratteristiche, quindi anche del tuo profilo di rischio, e della tua attuale situazione previdenziale.
8. Potresti uscire prima dal mondo del lavoro
Sfruttando alcune opzioni pubbliche, gratuite o onerose, oppure la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, non è escluso riuscire ad anticipare il pensionamento. Ne va chiaramente valutata attentamente la convenienza e l’impatto sul futuro assegno pensionistico.
9. Fai scelte professionali favorevoli
L’esame della tua posizione contributiva e delle tue esigenze future ti consente di prendere decisioni consapevoli in ordine alla tua attività. Si può valutare l’opportunità, in termini pensionistici, di un demansionamento o di una riduzione dell’orario lavorativo o, ancora, del passaggio da lavoro dipendente a lavoro autonomo.
10. Riordini la tua posizione contributiva
Non è infrequente versare in diverse gestioni o casse professionali nell’arco della propria vita lavorativa. Molte persone, solo all’esito di una consulenza previdenziale, vengono a conoscenza di buchi contributivi o di aver versato in maniera frammentaria in diverse gestioni. Pensi davvero che sarà l’INPS ad occuparsi di riordinare i tuoi spezzoni contributivi per pagarti un unico assegno pensionistico?
Di buoni motivi per richiedere una consulenza previdenziale personalizzata ve ne sono molti altri. Possono essere sintetizzati in un unico concetto: progettazione. Pianificando le tue risorse attuali e future, sarai in grado di vivere felicemente la tua pensione e la tua vecchiaia.
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