Consulenti finanziari indipendenti: ne servirebbero di più

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I consulenti finanziari indipendenti (o consulenti patrimoniali indipendenti) sono professionisti o partner associati che offrono un servizio di consulenza finanziaria a privati. Di solito hanno alle spalle un passato di bancario, di promotore finanziario o di agente assicurativo in seguito al quale hanno preferito mettersi in proprio. Mentre negli USA sono figure professionali molto ricercate, in Italia ne esistono pochi, circa 500, e quasi solo nell’Italia del nord. Non sono da confondersi con i promotori finanziari, che sono legati a banche e assicurazioni.

Per l’investitore, il vantaggio di rivolgersi a un consulente indipendente sta nel sottrarsi a un possibile conflitto di interessi che è invece palese nell’attività di un consulente dipendente diretto o indiretto di una banca, di un’assicurazione o di una SGR. In quel caso, il consulente sarà naturalmente propenso a consigliare i prodotti dell’istituto che ha dietro di sé e a gettare ombre su quelli della concorrenza. L’emolumento del consulente indipendente non è invece proporzionale ai prodotti che riesce a piazzare.

Lo svantaggio (ma questo non è il termine esatto, bisognerebbe piuttosto parlare di rischio) è che l’indipendenza non garantisce l’ottenimento di risultati finanziari straordinari. Tutto dipende dalle capacità del professionista: per questo è importante verificare che la persona a cui ci si rivolge abbia un background di tutto rispetto e una buona esperienza pregressa.

Non esiste infatti ancora un apposito Albo dei consulenti finanziari indipendenti, anche se un DL dello scorso aprile (precisamente il n. 66) ha stabilito quali sono i “requisiti di indipendenza”: principalmente il non intrattenere (in maniera diretta o indiretta o per interposta persona) alcun rapporto di tipo patrimoniale, economico, finanziario o contrattuale con gli emittenti e gli intermediari e gli azionisti delle società finanziarie di cui si propongono i prodotti. In realtà, esisterebbe una direttiva europea (2004/39/Ce Mifid) che equipara i consulenti indipendenti alle altre categorie di liberi professionisti, precisando la separazione netta tra agente di vendita/promotore (in inglese: tied agent) e consulente (advisor), due ruoli che non possono essere ricoperti dalla stessa persona. Ma per ora, i consulenti indipendenti in Italia restano a livello legale dei “prestatori d’opera”, vincolati sui mezzi che possono utilizzare, ma non sui risultati che devono ottenere. In altri termini, non è possibile contestare loro i risultati dei consigli elargiti.

E, di fatto, in un periodo in cui riuscire a tutelare i propri interessi finanziari è tutt’altro che impresa semplice, ci sarebbe bisogno di molti validi consulenti di questo tipo. Per la creazione di un apposito Albo dell’ordine professionale, che tutelerebbe maggiormente i risparmiatori, occorrerebbero circa 2 milioni di euro. Una spesa troppo ingente per il momento, anche se ci sono varie migliaia di promotori che sarebbero disposti a lasciare subito banche e assicurazioni (di cui i clienti si fidano sempre meno) per mettersi a disposizione diretta dei clienti in maniera trasparente e scevra da conflitto di interessi.


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