Commissioni di performance: spesso un balzello ingiusto per gli investitori

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commissioni_di_performanceSono numerose le tipologie di commissioni sugli investimenti finanziari. Tra queste la commissione di performance (anche conosciuta come commissione di incentivo) che, in base alla definizione da manuale è quella che viene riconosciuta al gestore di un fondo di investimento per aver raggiunto determinati traguardi di rendimento in un certo lasso di tempo. Di solito si calcolata in punti percentuali sulla differenza esistente tra il rendimento del fondo in questione e quello dell’indice di riferimento, il benchmark. Oppure si calcola sulla crescita di valore della quota di un fondo in un dato periodo di tempo.

Se questi risultati particolarmente notevoli non si verificano, non bisognerebbe pagare alcun extra perché esistono già le commissioni di gestione (che vanno dallo 0,80% al 2%). Se da un lato è sicuramente giusto che il risparmiatore che investe denaro in un fondo comune paghi delle commissioni per il servizio che riceve, nel caso delle commissioni di performance l’attuale regolamentazione è tutt’altro che perfetta, col risultato di rappresentare spesso un costo non legittimo che si traduce in un danno per l’investitore.

Cerchiamo di spiegare meglio: il principio che sta dietro le commissioni di performance è l’incentivo che spinge la società di gestione del risparmio a generare un rendimento positivo per i suoi clienti, ovvero un guadagno. Ma questo guadagno in alcuni contratti non è concepito in riferimento al benchmark, bensì piuttosto in termini di performance assoluta del fondo.

A che cosa bisogna dunque prestare attenzione nella scelta di un fondo di investimento per non pagare più del dovuto? Alla periodicità di prelievo delle commissioni: più sono frequenti, minore è la tutela per l’investitore. Se ad esempio il prelievo delle commissioni è mensile o trimestrale, il cliente pagherà tutti i mesi (o tutti i trimestri) nei quali è stata registrata una performance superiore al benchmark – anche quando non c’è stato il recupero delle perdite in precedenza accumulate dal cliente. In altre parole, si pagano i rialzi temporanei, anche se poi sono seguiti da perdite. Sarebbe invece giusto pagare la commissione di performance soltanto a fine anno.

In realtà, le norme emanate da Bankitalia prescrivono il pagamento delle commissioni di incentivo su almeno 12 mesi. Ma quel che avviene è che molti fondi venduti dagli operatori in Italia sono registrati all’estero, dove le norme sono meno severe e quindi i meccanismi di computo possono essere diversi. E questa pratica non è vietata dalla legge. Bisogna perciò che l’investitore sia accorto e scelga un prodotto di diritto italiano.

Da tenere presente anche il concetto di high watermark (letteralmente, livello dell’acqua alta): le SGR che utilizzano questo parametro chiedono al cliente di pagare una commissione di performance soltanto quando il valore del fondo supera l’high watermark, ovvero i massimi assoluti. Questo watermark, per essere corretto non deve subire un reset periodico, cioè l’investitore deve pagare per le eccellenti performance soltanto una volta nel corso dell’investimento. Per una reale equità, l’adozione dell’high-water mark senza reset dovrebbe essere reso obbligatorio da CONSOB e Banca d’Italia per tutti i fondi di diritto italiano.


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