Cedolare secca: non conviene (ancora) applicarla nelle grandi città

Dalla sua prima introduzione nel 2011, l’aliquota della cedolare secca è già stata rimodulata due volte e, sorprendentemente, al ribasso! Inizialmente era pari al 19%, l’anno scorso era passata al 15%, mentre ora è scesa ulteriormente, al 10%. L’imposta una-tantum sui redditi da immobili è forse l’unica tassa che ultimamente è scesa e in questo senso resta estremamente conveniente per i proprietari di case nei piccoli o medi centri urbani, ma non nelle metropoli. Ecco perché: per beneficiare della tassazione forfettaria all’aliquota più bassa occorre applicare un contratto concordato, cioè un affitto “calmierato” rispetto ai prezzi di mercato. In caso contrario, l’aliquota dell’imposta non sarà del 10%, ma del 21%. Purtroppo, nelle grandi città come Milano, Roma e Napoli, i canoni concordati non sono affatto aggiornati rispetto ai prezzi reali delle abitazioni, poiché non vengono adeguati da 10 e in alcuni casi da 15 anni a questa parte. Ad esempio, nel capoluogo lombardo, il canone di affitto medio per un bilocale è di circa 1.025 euro, mentre il canone concordato è di 386. Se si sceglie la locazione “libera”, il reddito annuo da dichiarare è di circa 9000 euro, mentre con il canone concordato è di soli 4000 euro. Applicare il canone concordato per far scendere le imposte dal 21% al 10% è una strada impensabile, perché ridurrebbe della metà la rendita dell’appartamento. E’ quindi auspicabile un rapido aggiornamento dei valori concordati, principalmente per iniziativa dei Comuni. Gioverebbe sia ai proprietari, sia al mercato degli immobili, che al fisco, poiché farebbe emergere molti affitti “in nero”.