Hal Gregersen: lo straordinario potere delle domande

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Courtesy of WOBI

Hal Gregersen è un professore universitario americano, insegna al MIT e apre la prima giornata di WOBI 2019 parlando del suo libro più recente: “Questions are the answer” (“Nelle domande c’è la risposta”).

Gregersen entra nel vivo della sua idea e metodologia citando alcuni esempi di successo.

Le domande giuste di Dialogue in the Dark

Il primo esempio a cui fa riferimento Gregersen è quello di Dialogue in the Dark, un’esperienza/mostra sensoriale molto speciale: è nata e pensata per essere vissuta completamente al buio.

Idea, questa, di Andreas Heinecke: un uomo che, per un periodo, aiutò, nella fase di re-inserimento al lavoro, un collega reso non-vedente da un incidente.

In questo periodo, Heinecke si era dato come obiettivo quello di rendere vivibile e accettabile la situazione per quel non-vedente, ma presto si era reso conto che si stava facendo la domanda sbagliata.

Quell’uomo non era in difficoltà, anzi, aveva punti di forza e capacità incredibili che lo aiutavano a fare meglio di altri in alcuni contesti.

Questa percezione e consapevolezza cambiò la sensazione di Heinecke che, improvvisamente, inizio a cercare risposte ad un’altra domanda: come sfruttare al massimo i punti di forza di un non-vedente?

E da qui l’intuizione di Dialogo nel Buio: un’esperienza sensoriale unica, pensata per chi non ha problemi di vista e vuole vivere un momento edificante ed emozionante, nel buio più totale, guidato da una persona non-vedente. L’avventura prevede diversi percorsi che potrebbero includere un concerto, una lettura di poesia, un caffè o una degustazione di vino e diversi incontri: tutto nel buio più completo. 

Famosa in tutto il mondo è un’iniziativa che favorisce l’impiego dei non vedenti e deriva proprio da un cambio di prospettiva: la domanda giusta.

Le domande catalitiche <catalytic questions>

Gregersen cita altri esempi nel corso del suo intervento, esempi di soluzioni che si sono presentate agli occhi dei rispettivi creatori proprio a seguito di una ricerca, costante e continua, di un nuovo punto di vista sui problemi.

Cita il caso di Salesforce che è la più potente piattaforma di CRM a mondo e poi il caso di GoldieBlox, un’azienda americana che produce giocattoli di meccanica e ingegneria per bambine.

Hal Gregersen accomuna tutte queste esperienze di successo, e altre che ha seguito personalmente nel corso della sua carriera e delle sue centinaia di interviste ad altrettanti imprenditori, sotto un unico frame: quello di essere risposte a domande catalitiche.

Per Gregersen sono catalitiche le domande che riescono ad esercitare un influsso determinante su una situazione di cui si conoscano le premesse. 

Le domande giuste sanno mettere in moto soluzioni nuove: il punto ora, però, è come farle arrivare!

Come e dove cercare le domande catalitiche?

Gregersen fa una breve digressione sull’ambiente di lavoro e ricorda ai presenti quanto, qualche volta, ci si trattenga dal fare una domanda pensando di fare brutta figura.

Ecco, questa è la più grande barriera per arrivare ad un contesto creativo.

Creare le condizioni per avere più domande

Prima regola: creare le condizioni.

Sviluppare, e proteggere, un ambiente in cui nessuno abbia paura di fare domande, in cui i presenti apprezzino i punti di vista degli outsider e sfruttino la curiosità di altri per sondare elementi del proprio problema che, normalmente, si rischia di dare per scontati.

Creare, quindi, le condizioni perché tutto avvenga serenamente e senza pressione, in cui la domanda sia più apprezzata della risposta.

La vera innovazione e le soluzioni possono arrivare solo in contesti in cui le domande siano accolte, valorizzate, approfondite e mai banalizzate.

Per creare un contesto simile, che sia aperto e che generi le domande giuste, il passaggio obbligato è quello della fiducia e dell’ascolto, uniti alla personale liberazione dal pregiudizio (un contesto in cui idealmente ognuno si senta prezioso per il contributo che può fornire, esattamente come immaginato da Sinek).

La chiave è ammettere a sé stessi di non avere tutte le risposte: di essere semplicemente nel torto, immersi in una piena inconsapevolezza ed inesperienza e qualche volta anche in imbarazzo!

Lasciar fluire i pensieri e le domande

Seconda regola.

Di fronte ad un problema o ad una criticità, programmare un Question Burst!

Una ricetta insolita che, però, dall’esperienza di Gregersen, nell’80% dei casi porta i team a fare un passo avanti nella ricerca della propria soluzione e nella comprensione del tema.

Un Question Burst è una sessione di 15 minuti che includa persone interne e coinvolte nel problema, ma anche esterni, outsider. Gregersen consiglia di ripeterlo per 3 volte nella stessa settimana.

Il Question Burst dovrebbe iniziare con una brevissima presentazione della criticità da risolvere e procedere – a ritmo veloce e senza pause – con domande da parte di tutti i presenti, a cui nessuno deve dare risposta. 

Domande generiche, domande precise, revisione di percorsi, curiosità, proposte che avranno lo straordinario potere di muovere nuove soluzioni nelle menti di tutti.

E la soluzione sarà più vicina!


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