Investire nei diamanti? Sì, purché siano equi e solidali
Di NicolettaChi di questi tempi è così fortunato da avere tanta liquidità è spesso colto dal timore di investire male il proprio denaro. Il mercato dei beni di lusso è sempre un buon ripiego: vini pregiati, appartamenti in Sardegna, opere d’arte e il sempre galoppante investimento dell’oro. Anche il mercato dei diamanti come investimento alternativo si sta però riprendendo dopo un periodo in cui le compagnie avevano rallentato la produzione per mantenere alte le quotazioni. Ieri come oggi, scegliere i diamanti come bene rifugio richiede una certa preparazione. Non a caso, qualche tempo fa, la casa editrice Franco Angeli ha dedicato all’argomento il volume Investire in diamanti. Dove cercare e cosa comprare senza correre rischi di Antonella Baccaro e Fabio Cascapera, un vademecum per le persone alle prime armi questo settore, con indicazioni su dove acquistare diamanti, quando investire e disinvestire, con simulazioni di scenari economici, informazioni su listini e certificati, vari trucchi e consigli pratici.
Qualche spunto possiamo darvelo anche noi:
* gli investimenti in diamanti non devono mai essere visti in una prospettiva di breve periodo; non si tratta cioè di quote azionarie da acquistare e rivendere nel giro di poco tempo per realizzare rapidamente, in genere servono vari anni per vederne il valore considerevolmente aumentato;
* a differenza dell’oro il cui valore è sempre proporzionale alla purezza e al peso, i diamanti sono assai differenti tra loro. Di qui la necessità di farsi sempre consigliare da esperti e sicuramente di familiarizzare con quattro concetti: taglio, colore, chiarezza e caratura, ognuno dei quali influenza il valore della gemma
* non acquistare mai una pietra sprovvista di certificato;
* suddividere l’investimento su più diamanti invece che su uno soltanto;
* scegliere se si vuole investire in diamanti “sciolti” oppure incastonati in gioielli. I primi sono più facili da rivendere, ma i secondi sono un investimento indossabile e pienamente godibile senza per questo diminuirne il valore.
Alla luce del fatto che nelle zone di estrazione dei diamanti, soprattutto in Africa, sono all’ordine del giorno lo sfruttamento dei minatori, la devastazione dell’ambiente naturale, la corruzione e le guerre che si alimentano proprio grazie al finanziamento derivante dal commercio dei diamanti, ben venga la nuova esigenza a una certificazione dei diamanti equi e solidali da parte di Lifeworth Consulting e FJA (Fair Jewelry Action), due associazioni per la promozione dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile. La certificazione – che ha esaminato i dieci maggiori marchi a livello mondiale – valuta lo standard “etico” dei rivenditori delle preziosissime pietre. Esiste già un trattato internazionale, il Kimberly Process, che rende illegale ogni scambio di preziosi provenienti da zone di guerra, ma questo è un ulteriore passo avanti, poiché l’analisi assegna dei voti alle grandi Case in rapporto all’atteggiamento attivo o passivo che esercitano nei confronti del processo produttivo e commerciale. Per esempio, queste case perdono punti se le loro collezioni includono diamanti provenienti dalla Birmania, nazione che non è in guerra ma il cui regime notoriamente non rispetta i diritti umani.
In soldoni, questi sono i risultati dell’analisi di Lifeworth e FJA. I giganti del settore che più rispettano gli aspetti etico-sociali-ambientali delle loro transazioni commerciali lungo tutta la filiera sono Cartier e Boucheron. Le altre otto società esaminate (Buccellati, Bulgari, Chanel, Chopard, Graff Diamonds, Harry Winston, Piaget e Van Cleef&Arpels) sono definite dal rapporto come «inattive o parzialmente inattive». Infatti, alcune hanno un modo di affrontare il problema di tipo filantropico, che consiste in azioni di beneficenza e/o risarcimento ex post, mentre sarebbe più apprezzabile organizzare progetti per risolvere a monte le problematiche sociali e ambientali collegate all’estrazione dei diamanti. Come dire: aspettiamo il giorno in cui il peso dei diamanti sia esclusivamente l’indice della loro caratura, non quello della distruzione che ha portato la loro produzione.
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Vi segnalo l’iniziativa della Gioielleria Belloni di Milano che da 6 anni ha creato il marchio Ethical Diamond e importa dei diamanti provenienti dal Canada. Queste gemme vengono vendute con un certificato di origine che è molto più rigoroso del Kimberly Process. Il 5% dei ricavi è devoluto in beneficenza.