Consulenza finanziaria: che cos’è il divieto di inducements?

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Gli inducements (incentivi) sono un tema complesso e centrale nel mondo della consulenza finanziaria e degli investimenti. Si tratta di compensi monetari o non monetari, come onorari e benefici, pagati o forniti da terzi agli intermediari in relazione alla prestazione di un servizio di investimento o accessorio ai clienti. Questi flussi di pagamenti possono avvenire in entrambe le direzioni, includendo compensi dagli intermediari verso terzi.

Divieti e eccezioni per consulenti indipendenti

Con l’entrata in vigore della MiFID II (Direttiva 2014/65/UE), l’articolo 24 stabilisce che i consulenti finanziari indipendenti non possono accettare inducements per evitare conflitti di interesse. In particolare:

  • I consulenti indipendenti non possono ricevere o trattenere commissioni o benefici monetari/non monetari da terzi in relazione al servizio fornito ai clienti.
  • Un divieto analogo è applicato alla gestione del portafoglio.
  • Tuttavia, sono ammesse eccezioni se l’inducement migliora la qualità del servizio fornito e non compromette il dovere dell’intermediario di agire nel migliore interesse del cliente.

In particolare, la lettera b) del paragrafo 7 di tale articolo vieta ai consulenti finanziari indipendenti di accettare e trattenere onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari pagati o forniti da terzi o da una persona che agisce per conto di terzi in relazione alla prestazione del servizio ai clienti. Il paragrafo 8 prevede il medesimo divieto per la fornitura del servizio di gestione del portafoglio, mentre in base al paragrafo 9 le imprese di investimento non devono pagare o percepire un onorario o una commissione o un beneficio non monetario in relazione alla prestazione di un servizio di investimento o di un servizio accessorio o da parte di un qualsiasi soggetto diverso dal cliente, a meno che i pagamenti o i benefici abbiano lo scopo di accrescere la qualità del servizio fornito al cliente e non pregiudichino il rispetto del dovere dell’impresa di investimento di agire in modo onesto, equo e professionale nel migliore interesse del cliente.

Retrocessioni di commissioni e trasparenza

La trasparenza è uno dei pilastri della normativa. Gli intermediari devono informare chiaramente i clienti riguardo l’esistenza, la natura e l’importo di eventuali inducements, oppure specificare il metodo di calcolo se l’importo non è disponibile. Tutto ciò deve avvenire prima della prestazione del servizio di investimento o accessorio.

Il meccanismo delle retrocessioni di commissioni è una pratica diffusa in cui gli intermediari finanziari ricevono una parte delle commissioni applicate su fondi o altri prodotti. Secondo la normativa MiFID II, tali accordi devono migliorare la qualità del servizio per il cliente e non rappresentare un incentivo nascosto che possa pregiudicare l’oggettività dell’intermediario. La ESMA ha chiarito che l’accrescimento della qualità deve essere tangibile e proporzionato all’inducement ricevuto​.

Come la normativa impatta i consulenti fee-only?

Un modello sempre più diffuso per evitare conflitti di interesse è quello dei consulenti fee-only, che vengono remunerati direttamente dai clienti tramite parcelle e non accettano inducements da banche, SGR o compagnie assicurative. Questo approccio garantisce una maggiore trasparenza, ma solleva il quesito: i risparmiatori sono disposti a pagare per una consulenza completamente indipendente?

La normativa sugli inducements ha come obiettivo primario la tutela del cliente, garantendo che i consulenti agiscano nel suo interesse e che qualsiasi forma di compenso sia trasparente e giustificata. Il panorama sta cambiando rapidamente, con sempre più consulenti che scelgono il modello fee-only, mentre le autorità di vigilanza, come CONSOB ed ESMA, continuano a rafforzare i requisiti di trasparenza e la regolamentazione dei conflitti di interesse.

Ulteriori riflessione al riguardo

Lo scopo è quello di assicurare la neutralità dell’agire dell’intermediario: il pagamento o la percezione di un incentivo potrebbe spingerlo a negoziare, collocare o raccomandare un determinato servizio, a prescindere dall’interesse del cliente.

Il problema si pone, ad esempio, in relazione agli accordi di retrocessione in denaro (hard commission) o in servizi (soft commission) fra negoziatore e gestore individuale o collettivo, ovvero fra negoziatore e raccoglitore di ordini, o ancora fra gestore collettivo e gestore individuale di GPF. Rientrano in tale categoria anche le convenzioni in virtù delle quali la società promotrice di un fondo di fondi beneficia della retrocessione parziale delle commissioni di gestione da parte della società di gestione dei cosiddetti OICR bersaglio. Quella descritta è una prassi particolarmente praticata nel caso in cui un intermediario si trovi a gestire un fondo di fondi o una GPF cosiddetti “multimarca” o “multimanager” (gestioni fondate sulla selezione di OICR anche non collegati a società appartenenti al medesimo gruppo dell’intermediario gestore).

Bisogna, quindi, accertare quali siano le pratiche ammesse, ossia quelle Mifid compliant, e quelle non ammesse. Le difficoltà si sono riscontrate soprattutto nella concreta applicazione e interpretazione della regola sull’effettivo accrescimento della qualità del servizio reso. Una retrocessione di commissioni lecita, per esempio, potrebbe essere quella finalisticamente vincolata, in quanto utilizzata dall’intermediario per procurarsi beni o servizi che possano avvantaggiare il cliente. Altri casi di accrescimento della qualità del servizio si hanno quando il distributore offre anche il servizio di consulenza in materia di investimenti, l’investitore ha accesso a una più ampia gamma di prodotti e il distributore si impegna a forme di assistenza dell’investitore, soprattutto in fase post vendita.

Inoltre, a livello di prassi, ancor prima dell’approvazione della MiFID Review, la Consob aveva già previsto il divieto di inducements per la gestione individuale. Nel documento “Consob – Prime line di indirizzo in tema di inducements” si legge, infatti, che «[…]il servizio di gestione individuale è, fra i servizi di investimento, quello a maggior valore aggiunto, quello in cui l’assistenza al cliente si traduce, tipologicamente, nell’effettuare dinamicamente per suo conto dirette scelte di investimento/disinvestimento, nell’ambito di uno specificato perimetro gestionale. Come questo contenuto tipico (e di qualità elevata) possa arricchirsi ed aumentarsi in ragione di commissioni retrocesse dalle società di gestione di OICR target non pare cogliersi […]».

Il meccanismo della retrocessione di commissioni rende opachi i costi del servizio di gestione in quanto costituisce una mancata percezione di un provento per gli investitori o una mancata riduzione di un onere (le commissioni di gestione) a loro carico. Il gestore potrebbe essere influenzato dal maggiore livello di commissione di gestione applicata: in questo modo la retrocessione che il gestore si garantisce sarà più elevata, in quanto calcolata in percentuale sulla commissione di gestione stessa.

Per evitare il conflitto di interessi e rispettare i principi di trasparenza e di correttezza di comportamento di cui sopra, la soluzione ottimale sarebbe quella di trasferire direttamente agli investitori il flusso reddituale proveniente dagli accordi di retrocessione.

I consulenti finanziari indipendenti, a fronte di un servizio scevro di condizionamenti, che non prevede la percezione di inducements da parte di banche, SGR o compagnie assicurative, utilizzano, quale criterio di remunerazione, una parcella corrisposta direttamente dai clienti. Vengono chiamati, come detto, consulenti fee only.

Ma i risparmiatori sono disposti a pagare una parcella per ricevere una consulenza indipendente sui propri risparmi?


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